BETTELMATT & WALSER

 

Prodotto con latte crudo intero nel periodo che va tra luglio a Settembre.

La pasta é compatta , piuttosto molle e untuosa con colore che va dal giallo paglierino all'oro, con un'occhiatura piccola e fitta. La crosta é ruvida con color marroncino tendente allo scuro

 

 

 

 

 

La Val Formazza (ted. Pomatt Tal) è una valle alpina appartenente alla Val d'Ossola e collocata nella Provincia del Verbano Cusio Ossola, al confine con la Svizzera, lungo il fiume Toce.

 

Il principale comune della valle è Formazza (Pomatt), che accoglie una comunità Walser.

 

La valle ospita numerose dighe artificiali, la più importante delle quali è la diga di Morasco, lunga 565 metri ed è alta 55 metri con una capacità di 17.320.000 mc di acqua. Tutte le dighe sono di proprietà dell'Enel e sono adibite alla produzione dell'energia idroelettrica. Sopra l'abitato di Formazza le acque del fiume formano la spettacolare Cascata del Toce, aperta e visibile solo di giorno e solo nei mesi estivi, per la gioia dei turisti che rappresentano la principale risorsa della valle.

La Valle é attraversata da un’unica strada, la Strada Statale 659 di Valle Antigorio e Val Formazza (ex Strada Provinciale 70 di Valli Antigorio e Formazza), che si dirama dalla Statale 33 del Sempione all'altezza di Crevoladossola e termina alla Cascata del Toce. Subito sopra alla cascata comincia una stradicciola sterrata molto ridotta, la ex Strada Provinciale 95 del Passo di San Giacomo (dismessa dalla Provincia perché di poco conto), che dopo 12 km conduce attraverso la zona dei laghi artificiali, al Passo di San Giacomo al confine con la Svizzera, ove si trova una stazione della Guardia di Finanza dismessa da anni.

 

 

 

Nell’autunno 1998 è stato per la prima volta registrato, presso la Camera di Commercio del VCO, il marchio Bettelmatt, per opera di un produttore, che nel 2001 ha venduto alla Comunità Montana la proprietà ed i diritti di sfruttamento di questo.

Il documento di compravendita di detto marchio, conteneva alcune indicazioni individuate dal venditore e dall’acquirente che hanno approfittato di tale atto, in quanto registrato, per porre delle regole alla produzione di questo formaggio.

Ora a distanza di due anni sono stati fatti passi successivi nel percorso di tutela individuato dalla Comunità Montana ed i Produttori, che ha visto la nascita di una pelure o velina, da applicare direttamente sul prodotto, utilizzata sin dalla stagione 2002, anno in cui è cominciata anche la datazione delle forme.

Dal 2003 il Bettelmatt è ulteriormente identificato, con un apposito marchio a fuoco, che viene posto da un esperto il quale opera una selezione sulle produzioni alla cantina e fornisce la marchiatura unicamente al prodotto individuato come sano, privo di difetti e rispondente in termini di pezzatura a quanto previsto dal disciplinare di produzione.

Infatti, le parti interessate hanno concepito un decalogo di produzione e tutela del formaggio Bettelmatt, che è stato sottoscritto da tutti i produttori e recepito ed approvato dalla Giunta della Comunità Montana, finalizzato a porre regole severe e precise nella produzione, stoccaggio, localizzazione e commercializzazione del prodotto, per tutelare i consumatori, i produttori e la proprietà del marchio. I quali vedranno la possibilità di difendersi adeguatamente da abusi e contraffazioni, attraverso l’applicazione di una procedura ben precisa, procedendo in modo analogo ad un organismo o ente certificatore.

 

 

L’oro dei Walser

Già nei secoli scorsi con il nome “Bettelmatt” non s’intendeva solo l’alpeggio ai piedi del Ghiacciaio del Siedel, ma anche il formaggio fabbricato in quello ed in altri alpeggi della valle con identiche caratteristiche di erba, di latte e tecniche di lavorazione, tradizione peculiare della cultura Walser che tuttora si ripete.

 

 

 

 

Questa tradizione si è andata sempre più perfezionando nel tempo, soprattutto dopo che i Walser impararono a esportare a commerciare il Bettelmatt. Anticamente veniva trasportato con i muli, sulle some o a spalle con le apposte “caule” attraverso i valichi . I depositi del formaggio, sulle alte montagne erano talvolta piccole cantine nascoste in località segrete, che occorreva tenere d’occhio, perché trattandosi di merce preziosa era un’autentica tentazione per i ladri. Nel 1410, il furto di alcune forme di formaggio, scatenò una guerra e una calata armata degli Urani verso Domodossola in cerca di vendetta.

 

Tuttavia la grande qualità di questo formaggio è data in gran parte dalla presenza di essenze particolari nei pascoli polifiti di cui si nutrono gli animali,  più che dalla tradizione di lavorazione del latte e conservazione del formaggio,  dall’erba mottolina o muttelina, un’ombrellifera che conferisce caratteristiche inconfondibili al  formaggio.  Ben documentata nei secoli scorsi la presenza del Bettelmatt da varie testimonianze lasciate da autori di prestigio, in viaggio nelle Alpi (ricordiamo H.B. de Saussure , Haller, J. G. Ebel, Melchiorre Gioia, W. Brockedon)

Un pasto senza formaggio è come una bella donna senza un occhio” ebbe a dire già secoli fa il buongustaio francese Brillant-Savarin.

 

In effetti, il formaggio è uno degli alimenti più antichi, e per molti millenni fu usato anche come offerta agli Dei.

Anticamente la coagulazione del latte si otteneva mescolandolo continuamente con rami di fico.

 

 

 

Col passare del tempo s’iniziò ad usare il caglio ottenuto dallo stomaco di vitello lattante.Oggigiorno esistono una cinquantina di procedimenti diversi di preparazione del formaggio, con i quali in tutto il mondo sono prodotti circa 4.000 tipi.

Con il nome “bettelmatt” si identifica fin dal XIII secolo , epoca della colonizzazione walser della fascia subalpina, un formaggio di eccellenza che veniva utilizzato come merce di scambio, per il pagamento di canoni d’affitto o concessioni d’alpeggio oppure tasse, ma non solo. Il nome Bettelmatt, infatti, pare derivi da battel che significa questua, quindi era senz’alto utilizzato per forme di beneficenza, l’unione a matt, che in tedesco significa pascolo, rende chiaro il significato del nome in : “pascolo della questua”.

Le prime testimonianze di questa produzione risalgono appunto a quegli anni e sono poi via via aumentate, ad esempio, si legge nelle “Statistiche del Dipartimento dell’Agogna” di Vincenzo Cuoco e Melchiorre Gioia del 1831, che tra i “prodotti più accreditati” nel distretto 2°, del dipartimento, vi è un formaggio chiamato Bettelmatt e i formaggi delle alpi di Baceno. Successivamente la presenza di questa produzione è stata riscontrata in molte pubblicazioni di carattere culturale o turistico, e negli anni 20 su di un “manuale per la caseificazione” della Hoepli, casa editrice nota sin da allora per la pubblicazione di manuali tecnici.

 

 

Il 10 novembre del 1821, a Briga, il notaio Valentino Fest stipula la vendita dell'Alpe Bettelmatt al formazzino Alessandro Anderlini.

Sancendo, senza saperlo, la cessione di un pezzo di Svizzera all'italia. oggi, il luogo è bello e suggestivo come allora; nella calda stagione è pieno di fiori e le cento/centoventi bovine che in piena estate vi pascolano hanno a disposizione un'erba bassa, ricca di fiori, profumi ed essenze; ne risulta un formaggio a pasta gialla, saporito, da molto tempo conosciuto ed apprezzato.

Nel 1880, infatti, viene citato nell'Inchiesta jacini come un mirabile esempio di formaggio con panna (un miracolo per la poverissima Italia dell'epoca).

E da allora chi vuole un certo tipo di formaggio, un autentico amaro d'alpe si contende le centocinquanta/ centottanta forme prodotte ogni anno.

 

Il nome di questo formaggio d'alpeggio, da sempre in competizione con la fontina, fu definitivamente stabilito con apposito referendum nel 1968: si identificava così il formaggio con la sua zona di provenienza, l'Alpe Bettelmatt, a circa 2.100 metri di altitudine, sul confine svizzero-piemontese.

Si usa il latte crudo di mucca da razza bruna, la cui eccellenza sta nei foraggi dell'Alpe Bettelmatt di cui si è nutrita. Stagiona da un minimo di 40 giorni a un massimo di un anno. La forma è quella classica delle tome e fontine d'alpeggio, con un diametro di 45-55 cm. e peso tra gli 8 e i 10 kg.

 

E' a volte chiamato anche Mottolina, dall'erba aromatica tipica nella zona di produzione, che gli conferisce la colorazione gialla. Da gustare - sia da solo che come ingrediente di cucina - in alternativa e in comparazione con la Fontina d'Alpeggio.

 

Localizzazione e denominazione

Si produce esclusivamente, in sette alpeggi della Valle Antigorio-  Formazza nei Comuni di Formazza,Baceno e Premia denominati: Morasco, Kastel, Val Toggia, Vannino, Poiala, Forno, Sangiatto , l’altitudine rispetto al livello del mare va da 1800 a 2400 mt. circa.

Il Bettelmatt® originale porta sullo scalzo la data di produzione ed è ricoperto da una pelure, che contiene l’indicazione dell’alpeggio di provenienza. Dal 2003 ha anche la marchiatura a fuoco. I sette alpeggi sono collegati dal tour denominato "Sulle Strade del Bettelmatt".

 

 

 

 

 

Tecnologia e caratteristiche

Il Bettelmatt® è un formaggio ottenuto dal latte crudo intero di una mungitura, prevalentemente di vacche di razza Bruna. La cagliata coagula in 40 minuti circa, successivamente viene rotta a grani grossi come bacche di ribes e cotta a 44/46°c. Raccolta poi in teli viene posta in fascera, pressata per 12 ore, salata a secco o in salamoia per gg.15, la stagionatura  minima è di  gg. 60. Le forme sono cilindriche, peso 4/6 kg, scalzo di 6 cm diametro di 30 cm, pasta compatta e morbida, colore giallo oro o paglierino, occhiatura ad occhio di pernice e crosta liscia, viene prodotto tra la fine di giugno ed i primi di settembre.

Localizzazione e denominazione

Si produce esclusivamente, in sette alpeggi della Valle Antigorio-Formazza nei Comuni di Formazza, Baceno e Premia denominati: Morasco, Kastel, Val Toggia, Vannino, Poiala, Forno, Sangiatto , l'altitudine rispetto al livello del mare va da 1800 a 2400 mt. circa.

Il Bettelmatt® originale porta sullo scalzo la data di produzione ed è ricoperto da una pelure, che contiene l'indicazione dell'alpeggio di provenienza.

 

 

 

L'origine

Il nome Bettelmatt, infatti, pare derivi da battel che significa questua, quindi era senz'alto utilizzato per forme di beneficenza, l'unione a matt, che in tedesco significa pascolo, rende chiaro il significato del nome in : “pascolo della questua”.

Le prime testimonianze di questa produzione risalgono appunto a quegli anni e sono poi via aumentate, ad esempio, si legge nelle “Statistiche del Dipartimento dell'Agogna” di  Melchiorre Gioia del 1831, che tra i “prodotti più accreditati” nel distretto 2°, del dipartimento, vi è un formaggio chiamato Bettelmatt e i formaggi delle alpi di Baceno. Successivamente la presenza di questa produzione è stata riscontrata in molte pubblicazioni di carattere culturale o turistico, e negli anni 20 su di un “manuale per la caseificazione” della Hoepli, casa editrice nota  sin da allora per la pubblicazione di  manuali tecnici.

Bettelmatt® è un marchio registrato.

residuo secco   55,4%

grasso            50,2%

proteine          53,4%


 

 

DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DEL FORMAGGIO BETTELMATT

Art.1. Nome del prodotto

Il nome Bettelmatt contraddistingue il formaggio ossolano d’alpeggio prodotto in Valle Antigorio Formazza, negli alpeggi di Forno e Sangiatto in Comune di Baceno, Poiala in Comune di Premia, Toggia, Kastel, Morasco e Vannino in Comune di Formazza.

Il nome Bettelmatt, identifica fin dai tempi della colonizzazione walser (XIII secolo) un formaggio di eccellenza, con cui venivano pagati i canoni di affitto ai proprietari di importanti alpeggi in località strategiche sulla via commerciale e religiosa che collegava il nord al sud dell’Europa.

 

 

 

 

Art.2.  Descrizione

Il Bettelmatt è un formaggio grasso a pasta semicotta, ottenuto dal latte vaccino intero di una sola mungitura.

Le forme sono cilindriche il peso va da 4 a 6 chilogrammi, lo scalzo è di 8 cm ed il diametro di 25/35 circa. La pasta è compatta e morbida di colore giallo, l’occhiatura ad occhio di pernice, la crosta è liscia.


 

Art.3.Regole per la produzione

La lavorazione del latte avviene subito dopo la mungitura, ad acidità naturale di fermentazione, senza pastorizzazione e uso di sieroinnesti.

La forma viene data da fascere dalla superficie liscia.

La salatura può avvenire sia a secco che in salamoia.

L’alimentazione del bestiame che fornisce il latte deve essere costituita in maniera esclusiva da erba assunta attraverso il pascolamento. Sono ammessi esclusivamente integratori oligominerali.

La stagionatura minima è 60 giorni, ai sensi dell’art.9 del DPR 54/97.

 

 

 

 

 

Art.4. Elementi distintivi

Le forme devono essere datate, cioè devono essere riportati sullo scalzo il giorno, il mese e l’anno di produzione.

Verrà apposto, presso la sede del produttore, un marchio di qualità a fuoco che darà un’ulteriore certificazione dell’appartenenza della forma alla produzione d’eccellenza che avrà diritto alla denominazione di Bettelmatt.

Tale marchio verrà applicato a seguito del sopralluogo di esperti che selezioneranno la produzione da destinare alla denominazione di Bettelmatt.

La velina verrà applicata dopo che sarà stato applicato il marchio a fuoco.

La velina è quella realizzata dalla Comunità Montana nell’anno 2001, essa riporta le seguenti indicazioni: Il nome del Prodotto, la dicitura “Formaggio d’alpeggio prodotto in Valle Antigorio e Formazza”, l’’alpeggio dove è stato realizzato, il bollino CEE dell’azienda produttrice, un’immagine riportante il ghiacciaio dell’Arbola, con le vacche al pascolo. Essa viene consegnata di volta in volta ai produttori che ne faranno richiesta, anche verbale; la Proprietà emetterà idoneo documento di consegna a firma del personale cedente e per ricevuta dal richiedente. Tale documento viene registrato al protocollo della Comunità Montana.

Art.5. Zona di produzione

Le date di inalpamento e di scarico devono essere comunicate preventivamente alla Comunità Montana al fine di un controllo sulla produzione e sulle relative date impresse.

Viene denominato “Bettelmatt” il formaggio avente le caratteristiche di cui ai precedenti articoli, che venga prodotto negli alpeggi di seguito elencati:

Morasco, Kastel, Toggia, Vannino, Poiala, Forno, Sangiatto .

Per Alpeggi si intendono le stazioni di pascolamento denominate, sono esclusi i prealpeggi. Inoltre non può essere denominato Bettelmatt il formaggio prodotto al di sotto dei 1800 mt di quota.

Le zone di produzione sono esclusivamente quelle relative alle mappe allegate.

Dalla stagione 2003, nei pressi dell’alpeggio produttore verrà installato un cartello che informerà che ci si trova nella zona di produzione.

 

 

 

Art.6.  assemblea dei produttori

Al fine di portare in discussione tutte le riflessioni, tematiche o problematiche inerenti il Bettelmatt, con il presente atto viene costituita l’Assemblea  del Marchio di Tutela, alla quale partecipano i Produttori e la Proprietà. Tale organo non ha valenza elettiva, ma solo programmatica.

Tale assemblea viene convocata in seduta ordinaria ogni anno entro il 15 del mese di giugno.

Può essere altresì convocata in forma straordinaria ogni qualvolta vi siano problemi o tematiche di interesse comune. Viene convocata dalla Proprietà, su iniziativa propria o a richiesta dei produttori, tramite convocazione scritta o telefonica, entro un minimo di 3 giorni lavorativi prima dalla riunione.

Art.7.  Commercializzazione

Al fine di valorizzare proficuamente il prodotto, nonché per una forma di tutela volta  a garantire tutti i produttori, viene fissato ogni anno un prezzo minimo  per la vendita del formaggio Bettelmatt. Tale prezzo viene concordato tra i produttori durante l’assemblea ordinaria.

Art.8.Disposizioni per la partecipazione ed estromissione

Lo sfruttamento del marchio Bettelmatt è conseguente all’osservanza delle regole di cui ai precedenti articoli. Qualora si riscontrino inadempienze rispetto al disciplinare ne verrà revocato l’utilizzo.

L’utilizzo del marchio, non è ammesso per contraddistinguere altri prodotti, e nessuno può di sua iniziativa utilizzare il nome Bettelmatt per finalità che non siano quelle contenute nel presente disciplinare, fatte salve forme di pubblicità espressamente autorizzate dalla Proprietà, ma sempre legate al prodotto ed alla sua zona di origine.

 

 

 

Art.9. Vigilanza e controllo

I produttori stessi, come parte interessata vigilano sul corretto utilizzo del marchio, che consente di contraddistinguere un prodotto di eccellenza della montagna e di garantire nel contempo il consumatore.

La Comunità Montana attraverso i propri mezzi, verifica l’osservanza delle regole  sottoscritte dai produttori.

In caso di inadempienza, al Produttore verrà sospeso l’utilizzo del marchio, con comunicazione tramite raccomandata A.R.

La sospensione sarà comunicata per conoscenza agli altri membri dell’Assemblea e  conterrà le motivazioni della scelta di esclusione.

La Proprietà, qualora si ritenga danneggiata, potrà avvalersi della Giustizia ordinaria per la difesa del buon nome proprio e dei restanti soggetti interessati.

Art.10. Sottoscrizione

I produttori del formaggio oggetto del presente disciplinare lo sottoscrivono al fine di ottenere i benefici e la tutela connessi al marchio Bettelmatt .

Sottoscrivono altresì per presa d’atto e visione i proprietari degli alpeggi, in persona dei legali rappresentanti pro tempore e/o titolari di concessione di pascolo, i quali, all’atto di stipula di possibili altri contratti di affitto degli alpeggi di loro proprietà, indicati nel presente disciplinare, informano i nuovi affittuari/conduttori degli alpeggi, dell’esistenza del presente disciplinare di tutela del marchio Bettelmatt.

Il presente atto ha valore di scrittura privata tra le parti, è impegnativo e verrà depositato presso l’Ufficio del registro di Domodossola.

Crodo, lì

 

I Produttori :  Alpe Forno Alpe Sangiatto Alpe Poiala Alpe Kastel Alpe Toggia Alpe  orasco/Bettelmatt Alpe Vannino

 

 

Che peso e caratteristiche possono avere le forme?

Devono essere perfette del peso medio di 5-7 Kg, con diametro di 30-40 cm., pasta compatta e uniforme con occhiatura regolare stagionatura minima di 60 giorni e con latte dell’Ossola.

 

 

 

 

Continuando la nostra ricerca scopriamo che:

Nella storia troviamo tracce in un documento datato 12 luglio 1006 in cui il Vescovo di Novara, Pietro affitta i beni della chiesa di Pieve di San Vincenzo di Vergonte ad un certo Grimaldo al quale impone un contributo annuo consistente in “ 100 libre di formaggio Ossolano di giusta misura

Anticamente molte tasse o taglie erano pagate in natura, cioè in staia di grano, brente di vino e soprattutto dove non c’era altro in libbre di formaggio, burro e ricotta.

Le decime che erano pagate ai canonici di Domodossola, cioè alla Pieve di Oxilia, erano soprattutto in forme di formaggio dell’alpeggio estivo, curioso sapere che il parroco aveva diritto di tutto il formaggio prodotto in certi giorni (24 giugno San Battista o San Quirico 16 giugno) questa usanza era tramandata da epoca immemorabile.

Analogamente anche la carità o elemosina pubblica imponeva che ogni alpeggio versasse una parte del prodotto caseario ai “Consoli dell’Elemosina”.

Se le contribuzioni di prodotti caseari erano imposte dalle antiche decime plebane parrocchiali e vescovili, altrettanto si deve dire dei controlli degli affitti che i coloni stipulavano con i padroni, e comunemente il canone era pagato con una quantità stabilita di formaggio.

Solo in secoli più recenti si preferì il pagamento del canone in denaro.

Altra traccia storica la rinveniamo nel XIII secolo, i nobili De Rodis, padroni di vasti territori a cavallo dell’arco alpino Ossolano, v’insediarono gruppi di pastori Walser assegnando loro pascoli e boschi con l’obbligo di consegnare l’affitto sottoforma di “belle formaggelle dell’Alpe”.

 

 

 

 

 

Che differenze ci sono tra Fontina e Bettelmatt?

Il nome di questo formaggio d'alpeggio,considerato di particolare gusto e pregio era da sempre in competizione con la denominazione “Fontina”, e solo nel 1968 fu definitivamente stabilita con un apposito referendum la zona di provenienza di questo formaggio l'Alpe Bettelmatt, alpeggio posto in posizione favorevole a 2112 s.l.m. in alta Val Formazza sulla via del Gries.


 

Dopo tutte queste notizie v’invito alla preparazione di un primo piatto alquanto leccornioso.

GNOCCHI CON FARCIA DI OSSOLANO ALLA PANCETTA E FUNGHI PER QUATTRO PERSONE:

Preparare con 400 gr. di patate lessate,100 gr. di farina bianca,1 uovo intero un impasto per gnocchi.

Con l’impasto ottenuto formare 16 grosse noci e farcirle con 150 gr. di formaggio Ossolano precedentemente fuso a bagnomaria con l’aggiunta di 2 tuorli d’uovo.

Lessare gli gnocchi in acqua salata, scolarli e cospargerli con una salsina formata da 30 gr. di pancetta tritata soffritta in 20 gr. di burro e una dadolata di 30 gr. di funghi porcini.

 

 

 

Walser    Il popolo delle Alpi: una civiltà di frontiera

II clima era più caldo di oggi e le montagne più verdi che bianche. Dove si stendono i ghiacciai si passava sui sentieri, fra i pascoli e le rocce. Ma attraversare la r cresta delle Alpi non doveva essere comunque una bella passeggiata, soprattutto quando la migrazione non prevedeva ritorno.

Eccoli, interi nuclei familiari, curvi sotto il peso di poveri fardelli, risalire dalle alte terre vallesane lungo le antiche mulattiere per divallare sul versante meridionale alla ricerca di nuovi insediamenti, preziosi spazi vitali. Nelle gerle, i bambini più piccoli: cauta protezione dall'ingiuria delle bufere.

Nelle bisacce non portano le armi come si usava comunemente in quei secoli, e non solo. La loro "conquista" avviene unicamente con gli attrezzi del lavoro. E i loro villaggi, così defilati e lontani nelle testate delle valli, non ingelosiscono nessuno.

Ripercorrendo i sentieri dei Walser possiamo immaginare le piccole carovaniere alpine, migranti nelle remote epoche medievali.

Le vie lastricate non solo dalle "piode" ma dalla fatica, trasudano ancora del loro passaggio, consumate dai calzari della storia di questa gente che legittimamente ha diritto alla qualifica di "popolo delle Alpi".

Pastori, alpigiani, boscaioli. Non sono né usurpatori né colonizzatori di terre, ma dei civilizzatori che sanno utilizzare le risorse dei territori più avari e inospitali.

Lassù l'erba è rara e cortissima, ma piena di aromi dei fiori raffinati. Non ingrassa, ma profuma il latte e ogni filo è un bene troppo prezioso per essere sprecato.

Come gli animali. Una mucca caduta in un burrone significa la fame e l'emigrazione.

Per questo incidono nelle pareti dei passaggi aerei ma sicuri, e scalinate lunghe e solide.

La neve rimane mesi e l'estate è già confortevole se dura appena lo spazio di un mattino.

Ma, a fine stagione, granai e fienili sono colmi.

Il frumento non cresce e i ciliegi fruttificano solo a settembre, se la stagione non è stata uncinata dal clima rigido. Invece la segale, grazie anche alle favorevoli condizioni meteorologiche del Medioevo, sopporta bene i rigori della montagna. A Findelen, sopra Zermatt, è stata coltivata per secoli a 2.100 metri di quota.

Le casere degli alpeggi sono scarne ed essenziali. Senza la calce lasciano intravedere il cielo. Talvolta cesellano i muri a secco con il letame per saldare i sassi e renderli più ospitali.

 

 

Il pane lo si cuoce nei forni comunitari una sola volta all'anno, quasi a sottolinearne pregio e valore.

I Walser sono soprattutto degli abilissimi costruttori di case, blindate contro le valanghe dal legno più coriaceo del cemento. Dovevano essere forzatamente dei maestri in queste attività ergologiche, altrimenti non sarebbero riusciti a superare i grandi freddi delle alte quote: "Le alpi dai geli infami" come scriveva terrificato Tacito. Sanno adattarsi egregiamente alla "mobilità" e alla flessibilità. Le esigenze del mercato sono severamente imposte dalla sopravvivenza. Il riciclaggio è continuo ed è giocoforza trasformarsi in uomini tuttofare. Così, secondo necessità, diventano minatori, commercianti, contrabbandieri, artigiani, pittori, someggiatori attraverso i valichi alpini e, con l'arrivo degli alpinisti, anche guide, portatori e maestri di sci.

Con le loro migrazioni gli alpeggi diventano insediamenti stabili. Dove gli altri montanari riescono a stento a resistere per il breve arco dei mesi estivi, i Walser costruiscono i villaggi, la cui solidità e sicurezza permette di sostenere il peso dei lunghi isolamenti invernali. Sepolti da enormi cumuli di neve, non temono l'ambiente ma lo rispettano con rigore. Anche la più piccola imprudenza ecologica sarebbe fatale. Il pericolo maggiore era quello delle valanghe, che - secondo un detto popolare diffuso in tutte le valli alpine - cadono dove sono già cadute, dove non sono ancora cadute e dove non cadranno mai più. Un'imprevedibilità capricciosa e spesso fatale.

L'esistenza è ripetitiva ma non monotona. Il calendario si srotola scandito da norme tramandate oralmente e scrupolosamente ossequiate. La pratica religiosa non è un optional. Il reticolo delle mulattiere permette un'osmosi sociale con le altre valli, soprattutto con la patria di origine che sta al di là di alte montagne. Ma sono tempi di camminatori eccezionali. L'autonomia è di rigore, non l'autarchia.

Il rapporto con la montagna più severa e minacciosa è quotidiano, senza soluzione di continuità. Devono "inventare" gli antidoti indispensabili per non soccombere. Al di sopra dell'orizzonte della vegetazione cresce solo l'erba dei pascoli e talvolta, come a Juf, i boschi sono lontani. In mancanza del legname il conforto del calore invernale nei fornetti di pietra oliare è assicurato dal letame messo a essiccare davanti alle baite, un anno per l'altro.

 

 

"Quanto più gli uomini sono tagliati fuori dalle vie battute, quanto più sono confinati nell'interno dei monti e rimasti alle primordiali condizioni di vita, quanto più si sono dovuti assuefare ad abitudini semplici, lente e immutabili, tanto più essi appaiono migliori, disinteressati, affabili e ospitali, nonostante la loro povertà". Queste parole di Göthe sembrano il suggello dell'agiografia dei Walser.

Una civiltà tutta virtuosa, la loro? Un mondo perduto in valli perdute? Giustamente Luigi Zanzi osserva che "i Walser non devono essere considerati come un'"isola", ma come la punta emergente di un iceberg, la cui parte sommersa è in genere l'intera civilizzazione del mondo alpino".

Come tutti gli uomini, anche i Walser hanno pregi e difetti, vizi e virtù. Ma non ci sono dubbi: essi hanno saputo sviluppare valori e risposte esistenziali che altri popoli, più "fortunati" per agi e comfort, non sono stati chiamati a fornire. Quella dei Walser è solo l'originalità commovente e la caparbietà ammirevole di una civiltà di frontiera che ha lottato per secoli sulla soglia estrema dell'esistenza. Per questo, soprattutto oggi, conservano l'attualità dell'insegnamento e dell'educazione. E anche della nostra ammirazione.

 

 

 

 

Il Mistero delle Origini e la Grande Migrazione Medievale

Sull'origine dei Walser è ancora mistero. Si crede che siano gli epigoni di antiche tribù alemanniche insediate nel cuore delle Alpi svizzere. Di certo, poco prima del Mille si sono stanziati nella valle di Goms, estrema appendice del Vallese, fra il Gottardo e l'Oberland Bernese dal quale forse erano venuti.

L'altopiano di Goms è stato la loro culla dove si sono forgiati, affinando quell'eccezionale capacità di adattamento alla montagna.

Nel Duecento ha avuto inizio una sorta di "diaspora" che li ha portati a costituire nuove comunità in tre direzioni. A ovest, verso Briga e le valli di Saas e di Zermatt, con una successiva penetrazione nella fascia meridionale del Monte Rosa. A sud, verso Binn, Formazza (la prima colonia fuori dal territorio vallesano), Salecchio e Bosco Gurin.

A est, verso l'arcipelago" delle valli grigionesi, del Liechtenstein e del Voralberg austriaco.

La localizzazione degli insediamenti rappresenta una punteggiatura molto fitta che va dall'Alta Savoia al Tirolo. L'estremità ovest è Vallorcine dove nel 1264 i "coloni teutonici" hanno in concessione dal priorato di Chamonix la parte superiore della valle. Il polo più orientale è invece la colonia di Galtör, nell'Alto Tirolo, nata nel 1319.

Le comunità Walser hanno come denominatore comune l'alta quota. Nel medioevo sono stati gli uomini più "alti" delle Alpi, capaci di spingersi dove la maggior parte della gente riteneva che abitassero solo i demoni e gli animali più mostruosi. È stata una migrazione diversificata nel tempo e nelle motivazioni.

"Non si sa perché la gente Walser sia andata così lontano; sono dovuti andare o hanno voluto andare?

Chi ancor oggi può dirlo?"

 

 

Un'antica canzone Walser sembra confermare il mistero che gli studi condotti soprattutto da Enrico Rizzi, il più autorevole ricercatore in materia, hanno però chiarito in una serie di recenti pubblicazioni.

Intanto "Walser" è contrazione di Walliser, vallesano. La parola appare per la prima volta in un documento in latino del 1319, a Galtür, una piccola colonia del Tirolo: "Homines dicti Walser", si legge nella pergamena.

Ma per parecchi secoli l'attributo rimase circoscritto alle comunità più orientali.

A sud delle Alpi - benché vi fossero gli insediamenti più antichi - si chiamava semplicemente "Titch", o "Ticci", tedeschi. E fino al secolo scorso gli storici si sono divertiti a proporne le provenienze più fantasiose.

Enrico Rizzi ha prodotto una serie di documenti dai quali emerge che i promotori degli insediamenti nelle valli più alte, in precedenza sfruttate soltanto come alpeggi estivi, furono soprattutto i monasteri (in particolare quelli Benedettini) e alcuni signori feudali, li ruolo dei monasteri si riscontra ad esempio in quella che Orace Bénédict de Saussure chiama, alla fine del Settecento, "la sentinella tedesca del Monte Rosa": Gressoney, Issime, Rimella, Macugnaga, poi Alagna, Rima, Carcoforo e Campello Monti.

E sempre, a sud delle Alpi, oltre a Formazza, troviamo Salecchio, Ornavasso, Migiandone, Agaro e Ausone sui monti sopra Baceno, e Bosco Gurin, l'unica colonia Walser del canton Ticino.

Saussure era stato il primo a cogliere la presenza di questa etnia tedesca a sud del Rosa durante un viaggio esplorativo che nel 1789 lo porta a compierne il periplo da Macugnaga a Zermatt. Pochi decenni dopo, nel 1824, un generale austriaco, Ludwig von Welden, ne afferma più chiaramente l'origine vallesana nel libro "Der Monte Rosa", il primo interamente dedicato alla seconda montagna delle Alpi.

Sempre nel XIII secolo il secondo flusso migratorio portò i Walser verso est, nella valli della Rezia. La nuova espansione proveniva soprattutto da Formazza. Infine l'ultima corrente, più modesta, ha avuto luogo dal Vallese verso le aree occidentali dell'Oberland Bernese e l'Alta Savoia.

 

 

A determinare la "diaspora" sono stati essenzialmente motivi economici legati al disboscamento e alla colonizzazione di territori impervi.

Solo successivamente si passò all'allevamento e alla coltivazione. I monasteri e i signori locali concedevano le terre in affitto ereditario.

Uno stimolo più allettante e anche un'adeguata ricompensa alle fatiche dei coloni. Per non smembrare la proprietà, essa passava normalmente in eredità al primogenito. È il modello del "maso chiuso".

I contratti di affitto prevedevano generalmente anche la libertà personale, l'autonomia amministrativa e giudiziaria, il diritto di leva militare e l'obbligo della protezione da parte del signore.

Sono soprattutto i Walser grigionesi a godere di ampie libertà personali. Il caso di Davos e del Rheinwald sono emblematici, forse i primi nella storia delle Alpi.

Risalgono alla fine del Duecento (1289 e 1277-83), quando i coloni, insieme all'affitto delle terre ottengono contestualmente un'ampia libertà: "Se essi pagano i loro interessi, sono liberi e non hanno da rendere conto di niente a nessuno".

Il signore mantiene solo la giurisdizione criminale, ossia il dì- ritto di vita o di morte, e quello di leva. Fra il Quattrocento e il Cinquecento le condizioni climatiche mutano. Inizia la "piccola glaciazione", con freddo, frane e alluvioni.

 

 

Ne consegue l'abbandono delle piccole comunità di alta quota, come Verra in Val d'Ayas, Morasco e Riale in Formazza, e Calfeisen, nei Grigioni, sulla quale il grande storico delle Alpi, William Augustus Brevoort Coolid ge, scriveva alla fine dell'Ottocento: "I due secoli della presenza dei coloni vallesani in questa valle sono ricordati oggi soltanto da poche pergamene ammuffite e da alcuni toponimi ancora in uso.

Questa presenza è però confermata indiscutibilmente dalle testimonianze della storia, anche se non risultano con  esattezza le date di fondazione e di estinzione dell'insediamento".

Altri villaggi sono morti successivamente per abbandono fisiologico o, come Agaro, per la costruzione di una diga alla fine degli anni Trenta. "E costituito da casupole annerite di legno alla foggia svizzera", scrive uno storico ossolano nel 1927.

"La popolazione è di origine vallesana e parla tuttora un gergo tedesco".

Però ci sono anche esempi di conservazione rigorosa del mondo Walser originario. È il caso di Törbel, nella valle di Zermatt, studiata negli anni Settanta dal celebre antropologo Robert Netting.

Il piccolo villaggio a 1500 metri di altitudine è riuscito a mantenere quasi miracolosamente l'equilibrio" fra passato e presente nonostante la limitatezza delle risorse. Tutte le strategie nell'utilizzo della terra sono state mirate a ottenere il massimo della produzione e la tutela del territorio.

La popolazione è rimasta radicata per secoli, con una continuità ininterrotta dal medioevo, grazie al sistema dell'eredità che tiene sotto controllo la scarsa disponibilità produttiva del territorio, e i vantaggi concessi ai locali e ai loro discendenti.

Inoltre l'elevata mortalità inna anche i matrimoni tardivi e tasso di celibato hanno evitato qualsiasi esplosione demografica, assicurando appunto equilibrio e stabilità. Una comunità del tutto particolare è quella di Ornavasso, fondata secondo la tradizione da dodici famiglie fuggite da Naters, vicino a Briga, per liberarsi dalle prepotenze di un signorotto locale.

In realtà, secondo Enrico Rizzi, questa storia, ritenuta verosimile per molto tempo, è solo una leggenda.

I Walser di Ornavasso sono invece venuti dal Sempione, quale presidio feudale istituito alla fine del Duecento da un nobile dei conti de' Castello che si era imparentato nel Varese. Una genesi completamente diversa da quella tradizionale, con una meta localizzata nel fondovalle ossolano, a poco più di 200 metri sui livello del mare.

I Walser sono arrivati tardi, quando la comunità esisteva da secoli.

In verità cercare le tracce del passato nel grosso borgo sulla piana terminale dei Toce è impresa ardua anche se di recente è sorto un fiorente gruppo che ha rivalutato cultura e costumi femminili.

E anche se rimangono i nomi dei due spicchi che costituiscono il paese (il Roi e il Dorf); separati dal torrente San Carlo che scende dalla valle Boden.

Ma la presenza Walser è visibile soprattutto alle spalle di Ornavasso, sulla sua grande montagna. larga e alta quasi duemila metri di dislivello. È sulla montagna dei "Twergi" (i misteriosi personaggi delle antiche leggende) che emergono le tracce della migrazione vallesana, soprattutto dai toponimi tedeschi, di illuminante chiarezza anche se in qualche caso dall'ortografia un po' corrotta. Mutazioni comprensibili.

Però la montagna è stata assiduamente curata e rivitalizzata, sia nella frazione di Migiandone, sia sugli alpeggi che popolano il paesaggio alpestre. Inoltre restano ancora numerosi cognomi tedeschi, alcuni dei quali sono stati italianizzati.

Una metamorfosi comprensibile, comune a tutti i Walser a sud delle Alpi.

Nel corso dei secoli i Walser "italiani" hanno saputo conservare i caratteri salienti della loro cultura transalpina, tramandandola fino a oggi, anche se con una caratura piuttosto diversificata.

Né lo spopolamento di alcuni villaggi né la valorizzazione turistica di altre località hanno però cancellato le stigmate della storia.

Un retaggio che dopo essere caduto in "sonno" durante il ventennio e nei primi decenni del dopoguerra, ha ripreso nuovo vigore.

La lingua (che è una commistione di antico tedesco vallesano e di dialetti subalpini) è però rapidamente declinata nell'uso corrente, tanto che, salvo eccezioni, viene parlata soprattutto dagli anziani. C'é il rischio di vederla svanire entro poche generazioni. Ma per fortuna in alcune comunità si tengono delle lezioni di tedesco nelle scuole.

E confortante rilevare che dovunque sono però presenti delle associazioni culturali mentre appaiono in crescendo i richiami folcloristici e le raccolte museali.

Almeno non si dimenticherà la memoria della cultura materiale e delle tradizioni. Canta appunto il vecchio motivo Walser: "Hanno conservato le loro tradizioni e il linguaggio dei loro padri. Un popolo libero e fiero come i Walser non si trova facilmente".

 

 

Buon appetito.   Pastore Giancarlo

 


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